I TENTACOLI DEL CRIMINE - capitolo 11

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  1. andrea68rapi
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    Capitolo 11




    «E’ permesso ?».
    La testa brizzolata del commissario Regozzi fece capolino dalla porta dello studio, all’interno del quale Diego stava osservando la scena della rapina.
    «Venite avanti, commissario. Venite a vedere il vuoto! Non hanno lasciato nulla in quella stanza».
    «Una stanza segreta, con la porta blindata e nascosta da una libreria. E, nonostante ogni accorgimento, l’hanno svaligiata da cima a fondo!?».
    «Forse sapevano dove andare a cercare; e in quanto alla combinazione…» disse Diego girandosi verso Ermanno che, con una borsa del ghiaccio sulla testa, era seduto alla scrivania.
    «Non guardate me. L’hanno trovata scritta su un libro!».
    «Molto strano! Così a colpo sicuro!” riprese Diego. «Sarà una delle cose che spiegherai a Monsieur Leducq… oltre al fatto che ti sei lasciato fregare da delle donne!».
    «Mi hanno colto di sorpresa, maledizione! E poi, comunque, erano guidate da un uomo! E forse ce n’erano anche degli altri fuori, chi lo sa?».
    «Una rapina fatta da donne?» intervenne il commissario. «Ma sei sicuro? E che tipo era quello che le comandava?».
    «Beh… oddio… è stata Rosanna a vederlo… no, comunque aveva un passamontagna» balbettò Ermanno che si era guardato bene dal dire che le rapinatrici erano armate di pistole giocattolo, perché sapeva che Lucien Leducq lo avrebbe ammazzato con le proprie mani.
    «A ogni modo la casa è disseminata di telecamere. Ho già telefonato al centro di registrazione per avere i files relativi a questa notte» riprese Diego.
    Nel frattempo Regozzi si era messo in contatto con il maresciallo Nicosia ed era stato informato del cattivo esito dell’inseguimento.
    «Sfuggiti!» sbottò, appena chiusa la telefonata. «Ora contatto subito gli altri commissariati della provincia per avere rinforzi e istituire posti di blocco».
    «Ah… dimenticavo, commissario» disse Diego. «Due banditi, nella fuga, sono finiti nella scarpata e sono morti carbonizzati».
    «Uomini o donne?».
    «Chi può saperlo? Ho visto solo le sagome da lontano».

    Dopo che Loredana ne fu scesa, il furgone si inoltrò per una strada sterrata appena accennata che conduceva verso l’interno, a nord, lasciandosi alle spalle la riviera ligure. Il fondo era molto sconnesso per cui Anna rallentò vistosamente la marcia per evitare ondeggiamenti, che avrebbero causato dolori all’amica ferita.
    «Ecco! Vedi quella stanga? Fermati lì davanti» disse Maria, che si era messa seduta a fianco della conducente.
    Una trave di legno, aggianciata fra due paletti di ferro, ostruiva il passaggio. Maria uscì dal furgone in compagnia di Marcella e, insieme, liberarono la stanga a una estremità, alzandola in verticale.
    «Una volta i miei nonni avevano alcune mucche che pascolavano in questi prati e allora, per evitare che scappassero, avevano messo una recinzione e una stanga per bloccare la stradina» spiegò Maria.
    «Ho sentito che ci sono in giro vacche selvagge. Sono le tue, allora?» chiese Marcella con un tono ironico.
    «Ho sentito anch’io questa storia» rispose Maria, ridendo «ma quelle sono nel Genovese. No, mio nonno le aveva vendute quando era diventato troppo anziano per occuparsene».
    «Sei sicura che il casale dei tuoi nonni sia disabitato?» intervenne Anna che aveva udito l’ultima parte del discorso di Maria. «Non è che troveremo tuo padre? Sarebbe imbarazzante…».
    «No. Tranquilla! So, per certo, che oggi mio papà è impegnato con il coro parrocchiale. Pertanto la casa è completamente libera».
    In quel momento, Marcella si affacciò in cabina.
    «Non sarebbe il caso che una di noi rimanesse qui ad aspettare Loredana?».
    «Qui, al freddo? Vestite leggere come siamo?» rispose Anna che poi, rivolgendosi a Maria, chiese «siamo distanti dal casale?».
    «No, in linea d’aria, no! Il problema è che ora dovrai scendere con il furgone lungo un prato ripido. Dovrai stare attenta e scendere lentamente, soprattutto per evitare scossoni violenti che potrebbero aggravare le condizioni di Manuela. Io direi che sarebbe meglio andare, prima, giù al casale, scaricare Manuela e poi tornare qui a piedi, dopo esserci vestite con abiti più pesanti. Ci vorranno venti minuti di cammino dal casale fino al tornante che abbiamo lasciato poco fa».
    «Va bene… e quando inizia il prato ripido?».
    «Ce l’hai alla tua sinistra!».
    «Allora tenetevi forte, ragazze!» concluse Anna «Non avevo mai toccato un furgone, prima di oggi, e adesso devo pure fare i rally!».

    Non ci volle molto, a Loredana, per capire che, anche senza scarpe con i tacchi, la discesa lungo il bosco sarebbe stata un’odissea.
    Mi si fosse seccata la lingua quando mi sono proposta per scendere lungo questo sentiero, pensò, ma d’altronde anche lei conveniva che non esistevano altre soluzioni.
    Il sentiero tagliava il bosco sottostante con un percorso a zig zag e sbucava proprio in prossimità del parcheggio, dove le amiche avevano lasciato le macchine. La luna filtrava tra i rami ormai senza foglie e, se da un lato la sua presenza era positiva perchè illuminava il tragitto, dall’altro lato questo suo continuare a sparire e tornare fra gli alberi dava molto fastidio.
    Appena scesa dal furgone, Loredana si era riposizionata il collant sul viso, un po’ per mascherare l’identità in caso di incontri imprevisti e un po’ per il freddo della nottata ma, il riflesso della luce lunare sul nylon impediva di vedere bene il sentiero per cui, dopo pochi metri, la ragazza decise di rimanere a volto scoperto.
    Il terreno, bagnato dalla pioggerellina dei giorni precedenti, era molto scivoloso e le ballerine con la suola liscia non erano certamente le calzature più adatte. Loredana avrebbe pagato qualsiasi cifra per avere, in quel momento, un paio di scarpette per corsa campestre, con i chiodi per far presa nel fango. In mancanza di ciò, si dovette adattare cercando di mettere i piedi sui sassi che, qua e là, sporgevano dal sentiero e mantenendo l’equilibrio, aggrappandosi alle piante che stavano ai lati del tracciato. Ma a un certo punto, la scarpa trovò un tratto di melma perdendo aderenza e, di colpo, la donna si trovò con il sedere a terra, lanciando un’imprecazione ad alta voce.
    Sporca e furente, Loredana si rialzò e riprese la discesa aumentando le cautele, ma il pensiero di Manuela, che aveva bisogno di cure, la spinse ad allungare il passo fino a che un secondo scivolone la riportò nuovamente nel fango. Decise quindi di staccare un ramo da un albero per farne un rudimentale bastone d’appoggio e questo accorgimento le impedì di cadere di nuovo. Tuttavia, nella parte bassa del sentiero, c’era un tratto in cui l’acqua piovana si era depositata formando una pozzanghera coperta dalle foglie e quando Loredana vi arrivò sentì subito l’acqua gelida bagnarle scarpe e calze, costringendola a starnutire.
    Ci mancava pure il raffreddore, pensò.
    Quando udì il rumore delle macchine che percorrevano la strada litoranea, Loredana si sentì molto sollevata perché il suo calvario stava per finire. Ma, poco prima di terminare il sentiero, la donna sentì anche delle voci provenire dal parcheggio. Il timore era che i carabinieri avessero già preso il controllo della strada e avessero stabilito, proprio lì, un posto di blocco.
    Con molta prudenza, Loredana si acquattò dietro gli ultimi alberi del bosco e cercò di sbirciare attraverso i rami. Notò subito che non c’erano lampeggianti, segno che forse le voci non erano di rappresentanti delle forze dell’ordine. Spaziando lo sguardo a tutto il parcheggio, cercò le auto delle amiche ma, quando le identificò, notò con disappunto che le persone che parlavano erano alcuni uomini, appostati ad appena un paio di macchine più a sinistra.
    Loredana si sentì raggelare il sangue. L’unica cosa certa era che non poteva aspettare nel bosco perché ogni minuto perso poteva aggravare le condizioni dell’amica ferita. Tra l’altro, aveva cominciato a starnutire ed era costretta a tapparsi il naso con le dita, per evitare di tradire la propria presenza. Con i piedi fradici e il corpo vestito solo da una giacchettina leggera, non vedeva l’ora di raggiungere le macchine per entrare in un ambiente chiuso e mettersi al riparo.
    Decise alla fine di muoversi e, lasciato il bosco, si inoltrò nel parcheggio. Fortunatamente indossava ballerine silenziose che, in quel frangente, le permettevano di avvicinarsi alle auto senza dare troppo nell’occhio. Tuttavia, il suo abbigliamento provocante e, nello stesso tempo, sporco di melma, avrebbe potuto richiamare l’attenzione di quegli uomini.
    Fece un mezzo giro per arrivare alle macchine dalla parte opposta, senza transitare davanti a quelle persone, cercando di camminare con la massima naturalezza. Aveva già messo in previsione la possibilità di essere fatta bersaglio di fischi e battutine pesanti e, in cuor suo, si augurava che la cosa finisse lì. L’unica preoccupazione era dovuta al fatto che, in seguito, qualcuno potesse collegare la sua persona ai fatti della Collina dei Fiori e fare una descrizione accurata alle forze dell’ordine.
    A un tratto, arrivò dalla strada un rumore assordante di sirene creando, da un lato, curiosità fra gli uomini che stavano chiacchierando e, dall’altro, terrore in Loredana che, istintivamente, pensò di essere stata scoperta. Ma le macchine dei carabinieri non si fermarono al parcheggio, ma presero la salita che portava alla Collina dei Fiori.
    «Cosa sarà successo?» disse uno del gruppo, interrompendo il discorso che stava facendo con gli amici.
    «Un incidente?» ipotizzò uno dei compagni, dirigendosi lentamente verso il margine del parcheggio.
    Anche gli altri uomini si portarono verso la strada per vedere meglio e ciò permise a Loredana di sgattaiolare fra le auto e raggiungere le macchine delle amiche. In pochi secondi prese, dal bagagliaio della Ford Escort di Marcella, le sacche con il cambio dei vestiti e le mise nella Clio di Francesca, entro la quale salì al posto di guida.
    Finalmente, pensò adagiando il capo contro il poggiatesta ed emettendo un lungo sospiro di sollievo, seguito da un poderoso starnuto. Ora, almeno, era in un posto al chiuso e al caldo, ma non poteva rilassarsi. Doveva partire subito e raggiungere la compagna ferita che aveva bisogno di essere medicata.
    Così, senza che nessuno ci badasse, la Clio uscì dal parcheggio e iniziò a percorrere la strada che portava verso la collina.

    Seduta su una sedia di vimini, Anna stava sorseggiando una tazza di tè, accanto a un caminetto appena acceso. Aveva indossato un giaccone che Maria le aveva prestato e, tolti i sandali, aveva appoggiato i piedi su una sedia godendo il calore che proveniva dalla legna che stava ardendo.
    La tensione accumulata quella notte stava per prendere il sopravvento e Anna sentiva il desiderio di chiudere le palpebre e dormire profondamente. Ma non era ancora giunto il momento di rilassarsi, quindi si sforzò di tenere gli occhi aperti.
    Il vecchio orologio, posto sulla credenza in cucina. segnava le ore sei. Maria e Marcella erano uscite, vestite con abiti pesanti, dirette alla strada asfaltata per attendere l’arrivo di Loredana. Nel frattempo, Francesca stava assicurandosi delle condizioni di Manuela, che era stata adagiata in una camera da letto.
    «Come sta?» domandò Anna, appena Francesca tornò in cucina.
    «Ora dorme. E’ debole perché ha perso molto sangue, però la ferita ora è tamponata».
    «E tu, invece? Non siamo più riuscite a parlarci da quando gli eventi sono precipitati!».
    «Sono solo stanca. Come te, come tutte, penso».
    L’infermiera si sedette vicina al tavolo e vi appoggiò le braccia, come se volesse lasciarsi abbandonare al sonno. Ma, dopo qualche attimo, riprese a parlare.
    «Cosa faremo, adesso?».
    «Dobbiamo trovare il modo per andarcene da qui. Non possiamo rimanere in eterno».
    «Pensi che verrebbero a cercarci anche qui?».
    «Alla lunga, sicuramente! E poi abbiamo le nostre vite da riprendere».
    Francesca scosse la testa e la adagiò sulle proprie braccia conserte sul tavolo. Così Anna rimase sola con i suoi pensieri. Si chiedeva quanto sarebbe stato rischioso tornare verso casa e vagliava tutte le possibilità che le si paravano davanti. Quali erano gli elementi in mano ai carabinieri? A quell’ora, essi avrebbero già scoperto che la rapina era stata perpetrata da donne, forse starebbero già visionando le immagini catturate dalle telecamere. Le ragazze erano tutte mascherate, però qualche dettaglio, qualche piccolo gesto o una mezza parola sfuggita avrebbero potuto tradirle. E poi c’era il furgone, crivellato di colpi e pieno di tracce organiche, che ora era nascosto all’interno del fienile ma, se la zona fosse stata battuta a tappeto dalle forze dell’ordine, sarebbe stato trovato e avrebbe costituito la prova schiacciante della colpevolezza delle sei amiche.
    Anna si sentì raggelare il sangue mentre la rabbia le pervadeva il corpo, una rabbia dovuta al fatto di trovarsi in quella situazione senza averla cercata. Ripensò a Diana, l’amica che l’aveva tradita, ai brividi di terrore provati quando Ermanno le aveva puntato la pistola in faccia, alla solidarietà che si era cementata fra le sei amiche per fare da corazza contro le avversità.
    Ma si ricordò pure che, per la prima volta nella vita, aveva usato violenza colpendo ripetutamente con una padella la testa del padrone di casa; e che, forse, sarebbe stata disposta a uccidere se ci fosse stata la necessità; e che, infine, aveva deciso di cedere ai tentacoli del crimine diventando essa stessa una rapinatrice, seppure ai danni di persone molto più malvagie di lei.
    Le guance di Anna si arrossarono di vergogna e, per combattere il magone che le era venuto, la donna cominciò a pensare alla sua famiglia, a Giovanni e ai piccoli Efrem e Katia. Il suo cuore si riempì di dolcezza, le palpebre non ressero più e Anna si lasciò abbandonare in un sonno ristoratore.

    Il rumore della porta d’entrata fece svegliare, di soprassalto, Anna e Francesca che impiegarono qualche attimo prima di connettere bene dove fossero.
    Finalmente, Marcella e Maria erano tornate, in compagnia di Loredana che era letteralmente una maschera di fango e, a tratti, starnutiva.
    «Brava!» esclamò Francesca che prese subito la cassettina del pronto soccorso e si avviò verso la camera dove stava riposando Manuela.
    «Sei stata meravigliosa!» disse Anna «com’è la situazione là fuori?».
    «E’ un viavai di lampeggianti e sirene, specialmente lungo la salita che porta alla collina».
    «Rischiamo di rimanere bloccate qui» commentò Anna. «Dobbiamo trovare una soluzione!».
    «Non subito, però!» intervenne Maria, con una grande moka fumante fra le mani. «Prima un buon caffè che ci aiuta a scaldarci».
    «E magari, dopo, mi faccio una doccia per levarmi tutta questa terra di dosso, se permettete!» aggiunse Loredana.
    «E dopo esserci cambiate, un sonnellino non ci starebbe male» concluse Marcella, mentre si accese una sigaretta da assaporare insieme al caffè.
     
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