I TENTACOLI DEL CRIMINE - capitolo 12

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  1. andrea68rapi
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    Capitolo 12




    Seduto alla sua scrivania, nella casa sulla Collina dei Fiori, Lucien Leducq stava osservando i filmati catturati quella notte dalle telecamere a circuito chiuso, quando si girò di scatto a guardare negli occhi Ermanno. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, il custode sarebbe morto fulminato all’istante.
    «Altro che una banda guidata da uomini! Quelle che ti hanno fregato sono soltanto donne! Le immagini parlano chiaro!».
    Ermanno, tremante, cercò di giustificarsi balbettando qualcosa di impercettibile, ma le altre persone presenti in quella stanza, Leducq, il commissario Regozzi e Diego, non ci badarono.
    Il commissario guardava perplesso le immagini.
    «Guardate che strano travestimento! Vestiti eleganti, scarpe con i tacchi… non sembra proprio un abbigliamento adatto per fare una rapina. Sono tutte mascherate con calze che ne offuscano i lineamenti. Sembra quasi impossibile risalire alla loro identità, partendo da queste immagini. A ogni buon conto, ora mando questi files alla centrale per fare un confronto con la banca dati delle persone pregiudicate. Non sono molte le donne, in proporzione, presenti nello schedario. Forse qualche dettaglio, un minimo appiglio che ora ci sfugge guardando le immagini, potrebbe dare un nome e un volto a queste criminali».
    Leducq ascoltava, assorto nei suoi pensieri. Era inviperito per essere stato derubato, per di più da delle donne, soggetti che finora aveva sempre e solo considerato come giocattoli utili per soddisfare i suoi piaceri sessuali. Le immagini avevano mostrato chiaramente come il ritrovamento della stanza segreta fosse avvenuto in modo casuale. Quello che risultava poco chiaro era l’atteggiamento dell’unico uomo presente nella banda che, staccatosi dalle complici, si era messo ad armeggiare intorno allo stesso computer, davanti al quale ora stava seduto Lucien.
    Questi, a un tratto, ebbe come un’illuminazione. Si collegò con il sito della banca, ne digitò il codice identificativo e le password e controllò le movimentazioni. Un urlo di rabbia sfuggì dalle labbra dell’uomo.
    «Stramaledettissimo bastardo! E’ riuscito a entrare sul mio conto!».
    «Riuscite ancora a fermare il trasferimento? Oggi è domenica e di solito le banche effettuano le operazioni entro la fine del primo giorno lavorativo utile» disse il commissario.
    Leducq lo guardò disgustato. Quella non era una banca tradizionale che lavorava alla luce del sole, ma una banca di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite e le operazioni, che venivano ordinate dall’organizzazione criminale collegata, avevano effetto immediato. Ma questo era un aspetto su cui il francese preferiva tacere di fronte al commissario, pertanto non gli diede risposta.
    «I due che sono precipitati nel dirupo» intervenne Diego «sono l’uomo e la donna, ne sono sicuro».
    «Lo credo anch’io» rispose Regozzi. «Sono sempre separati dal resto della banda, come fossero un’entità autonoma, slegata. Anzi, dalle immagini risulta che i due gruppi fossero in conflitto tra loro».
    «Ma chi diavolo sono?» urlò di rabbia, Leducq. «Chi ha osato sfidarmi così spudoratamente? Da quale inferno sono vomitati fuori questi bastardi?».
    «Beh. All’inferno due rapinatori, gli amanti diabolici, ci sono già tornati! Ora, i vigili del fuoco stanno raggiungendo la zona dell’incidente. Le operazioni di recupero saranno un po’ lunghe e difficili, vista l’impervietà della zona. Non mi aspetto molto. Se, come dice Diego, la macchina è esplosa, troveremo ben poche tracce per poter risalire all’identità dei due occupanti».
    «Quei due sono coloro che hanno forzato l’accesso al conto corrente della mia banca. Essendo morti, forse il denaro è rimasto congelato sul conto di arrivo… Devo sentire la banca, forse riusciamo ancora a bloccare il trasferimento» ragionò Leducq.
    «Forse… a meno che non ci fosse stato qualche complice che, dall’altra parte, avesse già svuotato il conto» rispose il commissario che aveva intuito quale fosse la natura della banca di Lucien. «Ma questo è un aspetto che vedremo dopo. Ora mi interessa l’altro gruppo, quello delle rapinatrici scappate con il furgone. Ho un conto aperto con quelle diavolesse. Prima mi hanno speronato la macchina, poi hanno bloccato l’inseguimento gettando chiodi sull’asfalto!».
    «Ah ah, hanno fregato anche voi» Lucien sembrava rincuorarsi sentendo che non era stato l’unico ad essere stato gabbato.
    Regozzi non raccolse la provocazione e continuò:
    «Comunque, il mio maresciallo è convinto di aver colpito una delle occupanti e il furgone è stato bersagliato ripetutamente, per cui non dovrebbe essere difficile riconoscerlo. Ho dato ordine di istituire diversi posti di blocco, disseminati nella zona. I colleghi degli altri commissariati mi hanno assicurato la loro collaborazione, pertanto sono sicuro che non potranno sfuggirci, dato che almeno una di loro è ferita e ha bisogno di cure».
    «Ci conto! Se riuscirete a prenderle, avrete il doppio di quanto vi passo di solito!».
    «Cominciate a preparate il denaro, allora!» rispose con un sorriso il commissario.

    Erano ormai le otto e la suoneria del cellulare di Anna squillò, svegliando di soprassalto lei e le complici che dormivano nella stessa camera. La maestra sperava che un’ora scarsa di sonno bastasse a ritemprarla, ma le paure e le emozioni provate quella notte non la lasciarono in pace neppure mentre dormiva.
    Ora, fuori dalle finestre, era già chiaro anche se il sole non era ancora spuntato per dissipare la nebbiolina mattutina.
    Si preannunciava una giornata densa e difficile e bisognava mettersi all’opera fin dalle prime ore del mattino. Anna si stiracchiò sbadigliando, poi, dopo essersi infilata ai piedi un paio di scarpette da tennis, camminò verso la camera a fianco dove avevano riposato Manuela e Francesca.
    «Ehi! Come stai?» chiese alla compagna ferita, che aveva già riaperto gli occhi.
    «Va meglio, grazie» rispose Manuela con un sorriso appena accennato. Il viso era pallido e intorno agli occhi la pelle era scura.
    «Ora ti preparo una tisana, sai?» intervenne Francesca, accarezzandole i capelli.
    Anna si spostò in cucina, dove stavano arrivando, alla spicciolata, anche le altre amiche. Prima di far colazione, però, si premurò di telefonare a casa. Doveva imbastire una storia credibile per giustificare la sua assenza anche per tutta la giornata di domenica.
    «Pronto!» rispose Giovanni.
    «Pronto. Ciao amore».
    «Ciao» salutò l’uomo, il cui tono della voce non nascondeva la contentezza di sentire la moglie. «Come stai? Come è andata la festicciola?».
    «Bene, bene. Solo che adesso c’è un piccolo problema. Sono a casa di Diana che si è sentita poco bene».
    «O mio Dio! Niente di grave, spero».
    «No… ha bevuto un goccio di spumante di troppo e ha fatto una leggera indigestione. In pratica ha vomitato tutto quello che aveva mangiato in precedenza. Ecco… non mi sento di lasciarla sola, così… oggi».
    «Ho capito».
    Anna si sentiva in imbarazzo a raccontare bugie in serie e temeva di non essere stata credibile. Ma Giovanni non aveva motivo di dubitare della moglie, per la quale nutriva una fiducia illimitata. Fu quindi lui a rassicurare la donna.
    «Non ti preoccupare, dai! L’importante è che Diana si rimetta presto. Io me la caverò comunque, insieme ai miei due assistenti che, anzi, sono qui che vogliono salutarti. Ciao e fai i miei auguri a Diana, ciao!» disse Giovanni, che quindi passò il telefono fra le mani di Efrem.
    «Mamma!» la voce affranta di Efrem uscì dal microfono del cellulare di Anna, colpendola come una freccia nell’intimo più profondo e facendole venire le lacrime agli occhi dalla commozione. «Quand’è che torni?».
    «Ciao, tesoro. Oggi devo stare qui con Diana che è malata… ci vediamo stasera, sai?».
    «Ma perché?».
    «Su dai, fai il bravo e aiuta il papà. Stasera ti porto un regalino. Promesso! Uno a te e uno a tua sorella. Va bene? Ora passami Katia».
    Dopo qualche secondo, una vocina giunse all’orecchio di Anna.
    «Ciao, cuore della mamma» fu la risposta. «Come stai? Hai dormito bene?».
    «Sì. Quand’è che torni?» la bambina ripetè la stessa domanda fatta poco prima dal fratellino.
    «Presto. Molto presto, sai cara? Adesso ti devo lasciare. Fai la brava. Ti voglio bene. Ciao».
    Quando spense il cellulare, Anna rimase qualche attimo in silenzio a fissare il vuoto. Dentro di sé, si sentiva male per aver ingannato così i suoi cari. Ma non poteva fare altrimenti.
    La voce di Maria, che le comunicava che il caffè era pronto, la scosse dal torpore e la riportò a concentrarsi sulla situazione che stava vivendo in quelle ore.
    «Appena terminata la colazione, dobbiamo darci subito da fare» disse tenendo fra le mani una tazza di caffè nero fumante. «Per prima cosa, dobbiamo trovare un posto sicuro dove nascondere il bottino» proseguì volgendosi verso Maria.
    «Ci sarebbe una grotta dietro il fienile. Una grotta, ricavata da un grande masso, che veniva usata come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale» disse la padrona di casa.
    «Non c’è il rischio che lo scopra tuo padre, quando verrà a lavorare qui?».
    «No… sicuramente no. Non avrebbe motivo di entrare nella grotta che, tra l’altro, è ostruita da rami e sterpaglie».
    «Va bene, allora. Lo nasconderemo lì» concluse Anna che, guardandosi intorno, notò il viso preoccupato di Marcella che guardava il proprio smartphone.
    «Stanno già parlando di noi!» disse l’amica.
    «Chi?».
    «I notiziari locali online. Parlano di una banda di rapinatrici che ha assaltato una villa. Suppongono che fra di noi ci sia almeno una persona ferita e concludono dicendo che i carabinieri stanno setacciando la zona e hanno istituito numerosi posti di blocco».
    Un’atmosfera di gelo calò nella cucina. Le ragazze si guardarono negli occhi con aria preoccupata.
    «Allora arriveranno anche qua!» commentò Maria.
    «Prima o poi, sì. Per questo dobbiamo trovare il modo di andarcene» replicò Anna.
    «Secondo te, ci cercheranno anche con i droni?» le domandò Francesca.
    «O mio Dio! Sono così tecnologici? Non saprei dire. Non ho conoscenze fra le forze dell’ordine» rispose Anna che, rivolta a Maria, proseguì. «Sei in grado di farci una descrizione della zona?».
    «Posso far di meglio. In un cassetto tengo una cartina per escursionisti. Vado subito a prenderla».
    Tornata in cucina, Maria spiegò sulla tavola la cartina, sotto lo sguardo attento delle complici.
    «Noi siamo qui. E questa è la Collina dei Fiori» iniziò, punteggiando la cartina con il dito indice. «Dalla collina, questa strada prosegue verso l’interno e, oltrepassata la zona rustica dove siamo noi ora, si dirama nelle varie direzioni».
    «Quindi, la strada asfaltata più vicina è questa ad ovest, quella che parte dalla Collina dei Fiori verso l’entroterra?» chiese Anna.
    «Sì. E’ da lì che parte lo sterrato che porta a questo casale».
    «In alternativa, ci sarebbe la strada quassù a nord» replicò la maestra.
    «Ma per arrivarci bisogna comunque percorrere la stessa strada. Non ci sono altre vie».
    «Non ci sono proprio altre soluzioni, dunque. Rifare a ritroso la strada che abbiamo fatto stanotte non sarebbe possibile. La salita è troppo ripida e né la macchina di Francesca, né il furgone riuscirebbero a percorrerla».
    «Che facciamo allora?» chiese Loredana che, come le compagne, iniziava a dare segni di agitazione.
    Anna rimase pensierosa per qualche attimo, poi rispose.
    «Cerchiamo di rimanere razionali e non perdere la testa. Può darsi che la situazione non sia così brutta come la descrivono i notiziari. Potremmo dividerci: mentre io e Maria nascondiamo la refurtiva, tu, Loredana, con Marcella andate a fare un giro vicino all’imbocco nella strada asfaltata. Intanto, Francesca rimane qui con Manuela. Che ne dite?».
    Le complici si guardarono fra di loro e, con un cenno d’intesa, approvarono il programma proposto da Anna.
    «D’accordo, allora» concluse la maestra. «Diamoci da fare! Prima ci muoviamo e meglio sarà per tutte».

    Dondolando nei solchi della strada di campagna, la Renault Clio avanzava lentamente verso l’incrocio con la via principale. Al suo interno, Loredana e Marcella, pur visibilmente stanche, erano tenute ben sveglie dall’adrenalina che, in quelle ore folli, aveva pervaso il loro corpo.
    «Ogni buca di questa strada è come un pugno nello stomaco» si lamentò Loredana che era al volante.
    «Vai piano. Non manca molto all’incrocio, credo» rispose l’amica al fianco. «Sai, stavo pensando a Diana in questo momento. Dopo tutto quello che ci ha fatto passare, ora se la starà godendo con il suo amante mentre noi siamo qui, nei pasticci, per colpa sua».
    «Che le prenda un accidente! Non c’è proprio giustizia a questo mondo! Ma secondo te, come cavolo hanno fatto a scoprirci i carabinieri?».
    «Non lo so. Devono aver combinato qualche cazzata, quei due fenomeni, con i loro computer. O forse le telecamere mostravano subito le immagini della rapina, in tempo reale. Ma sono tutte ipotesi che sto facendo io, adesso. Sta di fatto che ci troviamo nella merda».
    «Ehi! Mi sa che stiamo per arrivare. Mi sembra di intravvedere i riflessi dei vetri delle macchine che percorrono la strada principale».
    «Parcheggia dietro quell’albero. Poi proseguiamo a piedi».
    Le due donne avevano appena aperto le portiere, quando il loro sangue si raggelò: il rumore di una sirena assordante percorse la strada principale, coprendo il brusio del traffico regolare. Un’imprecazione sfuggì dalle labbra di Marcella. Il cuore di Loredana cominciò a battere vorticosamente.
    Le due amiche, senza parlare, uscirono dalla vettura e si avviarono verso l’incrocio, cercando di stare al coperto degli arbusti che punteggiavano i margini della stradina. Quando furono a pochi metri dalla strada principale, si fermarono. Attraverso il fogliame vedevano i lampeggianti di una macchina dei carabinieri e udivano il gracchiare delle ricetrasmittenti che mettevano in comunicazione le varie postazioni con la centrale operativa. I militari avevano stabilito un posto di blocco proprio a ridosso dell’incrocio, in uno slargo rubato alla campagna, usato solitamente dai lavoranti per parcheggiare le proprie macchine. Tre carabinieri erano in piedi accanto alla propria vettura e, muniti di giubbotto antiproiettile e mitraglietta a tracolla, controllavano le macchine che transitavano, fermandone qualcuna a campione.
    Senza dire nulla, Marcella fece cenno a Loredana di tornare indietro e, sempre tenendosi coperte, le ragazze ritornarono alla macchina.
    «Insomma, ci hanno messo il tappo» commentò Marcella, appena fu seduta all’interno dell’abitacolo.
    «E adesso che facciamo?».
    «In questo momento, di soluzioni non ne ho neanche mezza. Andiamo a parlarne con le altre».
    Quando arrivarono al casale, Maria e Anna avevano appena terminato di nascondere la refurtiva all’interno della grotta, occultandone poi l’entrata con delle sterpaglie in modo da farla sembrare in disuso da anni.
    «E’ come temevamo. Hanno istituito un posto di blocco proprio all’incrocio con la strada principale» comunicò Marcella.
    Anna rimase per qualche istante pensierosa, poi girandosi verso Maria domandò:
    «Mi fai rivedere quella cartina?».

    Davanti alla cartina spiegata sulla tavola, le amiche erano di nuovo riunite per trovare una soluzione a questa situazione che si stava facendo sempre più difficile. Mancava solo Manuela che stava riposando in una delle camere.
    «Mi avevi detto prima che l’unico modo per uscire sulla strada principale era questo. Giusto?» esordì Anna rivolgendosi a Maria, mentre indicava con il dito l’incrocio dove i carabinieri avevano istituito il posto di blocco.
    «Esatto!».
    «E passare più a destra, sbucando sulla strada a nord?».
    «Non è possibile. C’è in mezzo una collina che è ricoperta tutta da bosco. Non si può transitare con la macchina».
    «E senza macchina?».
    «E Manuela?».
    «Manuela rimane qui».
     
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